La Congiura dei Fieschi

La rivolta
La sera del 3 gennaio 1547 Gerolamo Fiesco giungeva a Montoggio con 200 soldati sudditi dell’Appennino dopo aver ottenuto, poche ore prima, l’indulto del governo genovese. Si era conclusa così la prima fase della congiura dei Fieschi, ideata dal fratello maggiore di Gerolamo, il Conte Gianluigi, e volta ad abbattere la potenza di Andrea Doria, grande ammiraglio dell’imperatore di Spagna Carlo V, e del lui nipote adottivo, Giannettino, successore designato al comando della “Forza delle galee”.
Attaccate e saccheggiate in darsena le navi dei Doria e ucciso Giannettino, i congiurati avevano sfilato tutta la mattina per le strade di Genova al grido di: “Libertà, viva popolo!”. La notizia, seppure ancora incerta, della morte di Gianluigi durante l’attacco alla darsena, aveva però reso molto confusa la situazione. Tutti coloro che, sotto la sua ombra, speravano di trarre vantaggi si erano a poco a poco dileguati.

Soli !
Gerolamo, tenuto all’ oscuro delle trame del fratello maggiore sino al momento dello scoppio della congiura e rimasto senza punti di riferimento, era sceso a patti col governo genovese. L’indulto garantiva a lui e ai suoi uomini l’impunità, ma, una volta tornata la calma, esso fu revocato per le pressioni di Andrea Doria che, fuggito in tempo e poi ritornato a Genova, doveva dimostrare all’imperatore di aver ancora la situazione sotto controllo.
Gerolamo Fiesco, rinchiusosi nella fortezza di Montoggio con 120 suoi sudditi appenninici e 30 soldati mercenari, contando sull’aiuto del re di Francia, del duca Pier Luigi Farnese ed il papa Paolo III, avversari di Carlo V, si era ben presto trovato in una situazione difficilissima.
I due principali collaboratori del conte Gianluigi Fiesco nell’organizzazione della congiura, Giovan Battista Verrina e Vincenzo Calcagno erano tornati dalla Francia con promesse d’aiuto. Altre promesse, anche se piuttosto vaghe venivano da casa Farnese. Gerolamo rifiutò pertanto di cedere la fortezza in cambio di 50.000 scudi offertigli dal governo genovese e decise di “Mostrarsi uomo” davanti al nemico.

La tragedia
L’11 marzo 200 fanti della Repubblica di Genova conducevano a Montoggio Antonio Doria e il più famoso architetto militare del tempo, Giovanni Maria Olgiati, che doveva decidere dove piazzare le artiglierie che avrebbero battuto la fortezza. Il luogo migliore venne individuato nella “Costa Rotta” sopra Granara, a circa 1000 m. di distanza dal castello ma alla stessa altezza. Il 26 marzo una lettera del governo della Repubblica informava che l’accerchiamento della fortezza era in atto da giorni. Quaranta pezzi d’artiglieria, trasportati per la strada dei Giovi, che venne preferita a quella più corta ma più ripida di Creto, iniziarono il fuoco contro il castello l’8 maggio sotto la direzione di Filippo Doria. Il 6 giugno Gerolamo Fiesco, preoccupato perché i 30 soldati mercenari cominciavano a tumultuare per la mancanza delle paghe, tentò di venire ad un accordo con il campo nemico. Le trattative durarono fino a quando, la mattina dell’11 giugno, i mercenari si impadronirono del torrione battuto e fecero entrare per di lì nel castello un gruppo di fanti genovesi guidati dal capitano Sebastiano Lercaro costringendo Gerolamo Fiesco ed i difensori della rocca rimastigli fedeli ad arrendersi.
Gerolamo Fiesco, dopo un brevissimo processo, venne decapitato assieme a Giovan Battista Verrina presso l’oratorio di San Rocco, alle falde della collina dominata dalla fortezza, il 12 luglio. Il castello di Montoggio destinato alla distruzione per decreto del governo genovese dell’11 giugno, fu minato e fatto saltare in aria nel settembre del 1547, anche se lo spessore delle muraglie costrinse gli artificieri a lavorare altri due anni per completare l’opera. ” (Tratto da Prof. Mario Traxino)

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